Testo di Miriam Gangemi, scarabocchi we eat together

Cos’è un fallimento?
L’ho chiesto ai miei amici.

Te ne sei accorto, sì
Che parti per scalare le montagne
E poi ti fermi al primo ristorante
E non ci pensi più
Te ne sei accorto, sì
Che tutto questo rischio calcolato
Toglie il sapore pure al cioccolato
E non ti basta più
” 

Brunori Sas, La Verità

Una delle tante cose da cui tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo cercato di fuggire è il fallimento. Eh già, quello che non ci è mai piaciuto del prendi e scappa con il successo era l’eventualità di non prendere niente, ma ritrovarsi a dover scappare comunque per evitare il confronto con il fallimento. La cosa che più mi provocava sconforto quando non riuscivo in qualcosa era l’espressione che credevo di leggere negli occhi e nei volti degli altri. Sapete com’è, quando cercate in tutti i modi di rendere qualcuno fiero di voi e quindi vi convincete che, riuscendo in quel determinato scopo, otterrete la tanto agognata stima e il rispetto che cercavate? Purtroppo – o per fortuna– non siamo noi a dettare le regole di questo sorprendete mondo e non siamo nemmeno noi a controllare i pensieri e le emozioni di chi ci circonda. Ho imparato che non è venendo bocciata al primo esame universitario che i tuoi genitori smetteranno di volerti bene e che il fallimento di un progetto o di un’idea non corrisponde al fallimento della propria vita. 

Ho chiesto ad alcuni amici di dirmi cosa fosse per loro il fallimento, per capire se lo vivessero tutti allo stesso modo. 

“Per me il fallimento esiste nel momento in cui vivi il fallimento stesso in senso negativo. Ogni situazione, anche se la viviamo negativamente o non dà i risultati sperati, è solo un’opportunità di crescita.” 

“Per me rappresenta qualcosa su cui ho investito tanto che non si realizza o non va come vorrei (in senso negativo).” 

“Una sconfitta personale, ma una motivazione a fare meglio la volta dopo.” 

“Non esiste la sconfitta, ma solo una serie di tentativi non riusciti.” 

“Essere bocciato all’esame della patente” 

C’è chi mi ha raccontato qualcosa di personale (di cui tra l’altro anche io ho avuto una duplice esperienza), chi legge il fallimento con un’accezione prettamente negativa, chi nella sconfitta trova una spinta al miglioramento e chi nemmeno lo contempla. In poche risposte sono riusciti a sintetizzare alcune delle diverse sfumature di questo tema così ambivalente. 

È proprio da queste citazioni che vorrei partire per raccontarvi alcuni aneddoti sul fallimento. 

“Ogni situazione […] è un’opportunità di crescita”

Avere origini siciliane ha una serie di pro, come per esempio l’avere un posto meraviglioso in cui trascorrere le vacanze. Qualche estate fa ero appunto sull’isola con la mia famiglia e scoprii l’esistenza di un bellissimo festival musicale proprio in un paese vicino al mio. Ci dovevo assolutamente andare, sarebbe stato il mio primo festival in solitaria. Era un’esperienza che volevo fare da un po’, partire all’avventura e godermi la serata a tutto tondo, magari incontrando persone interessanti con cui condividerla. Fu decisamente una bella serata, le emozioni che si vivono andando ad un concerto da soli sono molto diverse da quelle provate quando si è in compagnia, o almeno così fu per me. Peccato che non riuscii a conoscere nessuna persona 

interessante, anzi nessuna persona in generale. Forse è in quel momento che ho imparato il valore della condivisione, mentre vagavo per il castello di Milazzo (la location del festival) alla ricerca degli artisti o cercando di farmi passare il tempo in attesa dell’inizio dei live. Credo di aver fatto la stessa strada almeno 5 o 6 volte avanti e indietro, sperando che nessuno mi notasse (ormai quel castello lo conosco come le mie tasche). La cosa divertente è che una volta arrivata a casa, avevo ancora più voglia del solito di raccontare a qualcuno della serata, così iniziai a scrivere, allegando le foto che avevo fatto. Da quel giorno non ho più smesso, iniziando a creare reportage di concerti, con foto e parole e imparando così la bellezza del racconto. 

“Per me rappresenta qualcosa su cui ho investito tanto che non si realizza o non va come vorrei (in senso negativo).”

Diversi anni fa adoravo X Factor (in realtà tutt’ora lo guardo, anche se con meno trasporto). Lo adoravo a tal punto da istituire il “giovedì X Factor”, serata sacra in cui con alcuni amici ci radunavamo attorno alla tv per seguire i live e commentare in diretta le puntate e le esibizioni. Tralasciando la logica forse poco condivisibile dei Talent (qui consiglio l’ascolto di Russell Crowe di Salmo per stimolare una riflessione personale), il mio obiettivo era quello di poter concretamente partecipare a uno degli show, non come cantante, sia chiaro. Purtroppo non c’era alcun biglietto da poter comprare e l’unica via possibile era vincere uno dei tanti concorsi a premi promossi dal programma e dai brand partner. Non so dirvi a quanti contest partecipai (e quindi a quanti brand regalai i miei dati personali registrandomi a siti e app), penso di aver perso il conto. Mi stupisco di quanto riuscii a essere ostinata, ma ormai poter presenziare nel famoso studio milanese era diventata una sfida personale. Nonostante i numerosi tentativi, fallii nel mio intento e non vidi mai una puntata dal vivo. In compenso un giorno mi arrivo un’e-mail: “Congratulazioni, hai vinto la maglietta ufficiale di X Factor!”, che ebbe lo stesso sapore del “ritenta, sarai più fortunato” dei concorsi delle merendine. 

“Una sconfitta personale, ma una motivazione a fare meglio la volta dopo.”

Non riuscire in qualcosa a cui teniamo è frustrante e spesso è difficile affrontare di petto situazioni del genere. Soprattutto quando non riguardano solo noi in senso stretto (penso alla disfatta di una startup). Leticia Gasca, imprenditrice d’oltreoceano, racconta dell’imbarazzo che il fallimento della sua startup le generò. Si sentiva in colpa, soprattutto verso le persone che si era ripromessa di aiutare con la sua attività, così per ben 7 anni non raccontò mai a nessuno di questa storia. Finché una sera, confrontandosi con altri amici, si rese conto di non essere l’unico essere umano su questa terra ad aver fallito e che, addirittura, condividere la propria storia la aiutava a diminuire il peso che si portava sulle spalle da tanto tempo. Quella leggerezza, data dal raccontare e condividere la propria sconfitta, l’ha portata a dar vita alle Fuckup Nights, eventi ormai famosi in tutto il mondo, in cui startupper narrano le proprie esperienze dal finale dolceamaro.

“Non esiste la sconfitta, ma solo una serie di tentativi non riusciti.”

Se ci pensate, tutte le storie che vi ho raccontato –personali e non– sono accomunate da una nota finale positiva, e ci aiutano a fare una riflessione su come sia possibile cambiare atteggiamento nei confronti del fallimento e provare a invertire la polarità del nostro pensiero a riguardo. Questo non significa trasformare il fallimento in qualcosa di totalmente positivo e da affrontare in continuazione senza soppesarlo adeguatamente, seguendo così il modello tipico degli startupper della Silicon Valley; bensì imparare a vederne le sfumature e cogliere gli insegnamenti che gli errori ci possono dare. In primis dovremmo imparare a superare alcuni blocchi mentali, evitando di ripeterci frasi come: 

  • “Non credo proprio di poterci riuscire”;
  •  “Le persone come me non sono brave in queste cose”;
  • “So che dovrei farlo, ma non so se voglio”.

Che alimentano le nostre paure e, come afferma la psicologa Amanda Crowell, fanno parte di quello che viene definito fallimento difensivo e ci impediscono di vivere ancora prima che di fallire. 

Il motivo principale per mettere da parte tutti questi ostacoli e uscire dalla comfort zone del non fare le cose, in modo da evitarsi un’eventuale dolore dovuto al mancato raggiungimento dei nostri obiettivi, è che la cosa peggiore che ci può capitare non tanto è la possibilità di ricevere un no o che le cose vadano male, bensì ritrovarsi a distanza di tempo con l’interrogativo:

“Cosa sarebbe successo se ci avessi provato?”.

Quindi, riprendendo la citazione iniziale, proviamo ad ignorare il ristorante che incontriamo durante la scalata verso la vetta e continuiamo ad avanzare per raggiungere il punto più alto della nostra montagna personale, magari indossando una maglietta personalizzata su cui spicca la scritta rossa “X FACTOR CREW”.

Miriam GangemiMarketing & Digital Communication